martedì 28 aprile 2009

sabato 4 aprile 2009

XI comandamento


Sono passati quasi due anni da quando l'annuncio fece il giro del mondo: la Santa Sede sarebbe diventata la prima nazione a impatto zero.

Tutte le sue emissioni di anidride carbonica, principale responsabile dell'effetto serra e del riscaldamento globale, sarebbero state compensate da una nuova foresta piantata in Ungheria, nel parco nazionale di Bükk, il più grande del paese.

Gli "alberi del papa" avrebbero trovato dimora in un progetto più ampio, la riforestazione di un terreno di 250 ettari, e avrebbero assorbito 10mila tonnellate di Co2 all'anno. Il regalo da 170mila euro era arrivato da un'azienda americana, la Planktos, e dalla sua controllata ungherese KlimaFa. Il gruppo coltivava un business emergente, la compravendita dei carbon credit, cioè del diritto a emettere gas serra, prevista dal protocollo di Kyoto.

A fronte di un compratore che inquina di più, c'è un venditore che inquina di meno, o perché si è dotato di tecnologie pulite o perché ha realizzato un intervento "verde" in qualunque luogo della terra, in grado di assorbire quella stessa quantità di anidride carbonica. Come la foresta ungherese, appunto, che oltre alle emissioni vaticane avrebbe inghiottito altre 70mila tonnellate di Co2.

Per la piccola Planktos era stato un bel colpo. Russ George, il fondatore dell'azienda, un cinquantenne californiano massiccio e barbuto, aveva consegnato la terra promessa, in forma di certificato, nelle mani del cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio consiglio della cultura, in una rapida cerimonia organizzata in Vaticano il 5 luglio 2007. I media si erano ingolositi, qualcuno aveva ironizzato sulla Planktos che avrebbe perdonato a Benedetto XVI i suoi "peccati di emissione". Ma anche Russ George aveva qualche peccato da farsi perdonare.

Intorno al 2000, il vulcanico businessman verde diceva di avere scoperto la chiave della fusione fredda, come dire la pietra fi losofale dell'energia nucleare sicura, pulita, illimitata. Sosteneva di avere inventato una macchina per produrla e cercava di raccogliere fondi per le sue società, insieme a Nelson Skalbania, già finito in carcere per malversazione. La fusione fredda, però, è tutt'oggi una chimera. Ebbe una nuova intuizione: combattere l'effetto serra seminando ferro nell'oceano. Il ferro, infatti, è un "fertilizzatore" che fa aumentare notevolmente la quantità di plancton. I microrganismi che lo compongono, quando galleggiano sull'acqua, si comportano come le piante sulla terra: assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno. Nel 2002, Russ George salpò per un viaggio sperimentale, seminando ematite dal Ragland, il veliero di Neil Young. "Seminare" su larga scala, però, è un'altra cosa.

Quanta anidride carbonica può essere realmente assorbita? Quali sono gli effetti collaterali? Su Russ George piovvero nuove critiche. Priva di fondi per realizzare il controverso progetto, alla fine del 2007 la Planktos morì e poi risorse, come Planktos Science, rompendo con gli ungheresi di KlimaFa e con la Foresta vaticana.

È infatti la KlimaFa, il 28 settembre 2008, a rompere il silenzio. A novembre inizieranno «i lavori di impianto dei 125.600 alberi in grado di neutralizzare le emissioni di gas serra prodotte oltretevere lo scorso anno», dice all'Osservatore Romano l'amministratore delegato David Gazdag (che in ungheresesignifica "ricco"). Altro personaggio di esuberante attivismo, Gazdag guida un'organizzazione no profit, la Astarte, che si occupa della salute delle donne, soprattutto nella sfera del sesso e della maternità. Uno dei suoi obiettivi è "combattere la sovrappopolazione terrestre" attraverso il "diritto alla contraccezione". Un campo d'azione spinoso, in Vaticano.

I suoi conti però non tornano: se un albero nel corso della sua esistenza (50-60 anni) neutralizza mezza tonnellata di Co2, e se un ettaro di bosco contiene 500 alberi, i 125.600 alberi off erti, per essere messi a dimora, avrebbero bisogno di 251,2 ettari, più dell'area del parco (250 ettari, dei quali solo 150 coltivabili). Troppa grazia. Se ci limitiamo alle 10mila tonnellate, basterebbero 20mila alberi, distribuiti però su 40 ettari di terreno.

Tant'è: la stampa annuncia l'impatto zero come cosa fatta. Se i numeri non tornano, i lavori in compenso partono solo nel mondo virtuale di internet, dove la lieta novella si propaga in centinaia di migliaia di pagine web. Infatti, quando chiediamo lumi sulla Foresta vaticana da Két Tòroni ("le due torri"), la migliore birreria di Tiszakeszi, il proprietario annuisce, estrae il portatile, lancia Google e ci mostra un vecchio articolo del New York Times. Gli abitanti del posto non ne sanno niente di più: l'unica certezza è che nulla è stato fatto per avviare concretamente l'opera. Il cantiere non sarebbe certo sfuggito in un paesino di 2738 abitanti. «Nessuno ci ha mai contattato», conferma il sindaco Lajos Kiss, in sella dal lontano 1990.

«Abbiamo saputo del progetto soltanto perché qualcuno ha fatto circolare via email l'articolo di un giornale ungherese». L'idea gli piace, perché l'economia locale si regge su un paio di fabbriche di scarpe, un po' di agricoltura e allevamento, qualche turista con la doppietta (anche dall'Italia) a caccia di anatre e cervi.

La Foresta vaticana potrebbe diventare un'attrazione. Pazienza se l'80 per cento degli abitanti di Tiszakeszi è protestante. E pazienza se un clamoroso refuso scolpito sulla minuscola cappella cattolica proclama fedeltà alla chiesa "dei Rom" (che tra l'altro sono un quarto degli abitanti del posto) invece che a quella "di Roma".

Neppure il responsabile territoriale del parco di Bükk, Mihály Bodnár, sa molto: «Ho partecipato alle trattative con KlimaFa tre anni fa, poi più nulla. Nessun accordo è stato firmato, esiste solo un progetto preliminare fermo al ministero dell'Ambiente».

Alla fine, a vedere il famoso terreno ci accompagnano un contadino e un professore della scuola locale. Bisogna camminare mezz'ora fuori dal paese. Le suole affondano nel fango scuro del sentiero vicino al fiume Tisza. Sulla sinistra c'è un bosco di pioppi canadesi: appartiene a un'azienda privata che vende cellulosa alle cartiere. A destra si vede una distesa incolta completamente infestata dagli arbusti di acacia selvatica fitti, coriacei, alti più di una persona.

È la Foresta promessa.

David Gazdag, però, non si perde d'animo. Raggiunto via email mentre è "in viaggio", assicura che i progetti e le simulazioni di assorbimento della Co2 sono stati ultimati. "I lavori cominceranno a ottobre 2009", rilancia. Il divorzio da Russ George, avvenuto nel marzo 2008, "ha rallentato l'opera". Il partner americano "era pieno di buona volontà, ma ha creato un equivoco tra progetti oceanici e forestali. Solo questi ultimi portano buoni risultati sul clima".

Sul suo ottimismo, però, cala come una scure l'ultima comunicazione che ci arriva dal comitato direttivo del parco, a firma di Szabó Szilárd: "Il parco nazionale di Bükk non ha alcuna intenzione di offrire terra a KlimaFa. Il progetto è stato presentato due anni fa e accettato dall'autorità forestale. Ma i lavori non sono mai cominciati in mancanza di specifiche tecniche."

Il Vaticano, nel frattempo, resta a impatto zero soltanto su Google.

(fonte: wired.it)

giovedì 2 aprile 2009

ilovemywaste

L’ultima radiografia italiana della nostra spazzatura non lascia speranze: il 54% dei rifiuti finisce ancora nelle discariche generiche. I rifiuti sono uno dei problemi più urgenti della nostra società. E le soluzioni sembrano sempre troppo complicate. Per dimostrare il contrario David Chamedeis, un videomaker americano, ha voluto sottoporsi a un interessante esperimento: per un anno, dal 31 dicembre 2007 al 1 gennaio 2009, ha deciso di tenere per se tutta la spazzatura prodotta, senza buttare nulla nei cassonetti.

Nel basement della sua casa si sono così accumulati sacchetti di plastica, tortiere di alluminio, scatole di pizza, vasetti di yogurt. Per evitare di essere sepolto in pochi mesi però, David ha iniziato a escogitare strategie di auto-riduzione, evitando per esempio di comperare acqua in bottiglia, compostando gli avanzi di cucina per ricavarne prezioso concime per il giardino, evitando le confezioni multiple che si trovano nei supermercati e riutilizzando il più possibile quello che non poteva smaltire in altri modi, secondo il pricipio che ri-usare è molto più ecologico che riciclare. I risultati di tutto ciò che è stato raccolto in un anno (ma l’esperimento continua…) e li potete vedere… sul prato della casa di Dave!

(fonte: the Hub Milano)