lunedì 24 agosto 2009

italians

Consumo e consumatore sono di fatto termini ancora oggi filtrati da lenti ideologiche che obbligano gli italiani ad una connotazione negativa. Consumare è associato per noi a "sprecare" o a "esibire"...

... convegono qui le eredità (le 3 C) della cultura sociale italica: la radice contadina, quella cattolica e quella comunista...

... per uno strano percorso infatti i consumatori italiani vogliono il benessere (materiale) ma non vogliono accettare la logica economica da cui questo benessere di fatto discende.

Permane così l'ambivalenza, anzi una latente ostilità verso l'economia (vista come qualcosa di manovrato dai "potenti" contro la gente comune) mentre il benessre rientra ormai nella sfera dei "diritti di base" che non dipendono dal mercato o dai talenti, ma dal solo fatto di "esserci".

Non siamo riusciti a diventare cittadini partecipi e responsabili ma stiamo riuscendo a diventare cittadini-consumatori che esigono prodotti e servizi efficenti, poco costosi, non problematici.

... questa sovrapposizione di identità rischia di portarci ad uno scontento sistematico che non riesce a tradursi in progetto-azione alternativa.

A livello della cultura quotidiana manca ogni conoscenza, anche a livello minimale, dei meccanismi di produzione, di marketing e di economia, mancano conoscenze attendibili sul transgenico, sull'ecologia, sulla complessità dei sistemi istituzionali e produttivi, sull'evoluzione della tecnica e delle sue potenzialità ma anche i limiti applicativi.

Il consumatore medio non vuole pensare che esistano limiti intrinsechi allo sviluppo e cioè, nella sua equazione personale, alla possibilità di avere per se più benessere materiale e uno stile di vita più rilassato.

Preferisce attribuire l'esistenza di questi limiti all'egoismo dei potenti e alla complicità con essi dei politici, oppure allo spreco effettuato da "cittadini di 2° livello" (dai meridionali, dagli immigrati, dai dipendenti statali).

Non vi è spazio mentale ed emotivo per qualcosa come l'etica sociale in senso proprio, caso mai solo per afflavi emotivi di solidarietà, di fratellanza universale, di ecologismo romantico verso la "madre natura".

Non esiste perchè la visione del mondo appare rigorosamente individualistica ed egocentrica, estesa al massimo a clan parentali o corporativi, tutto ciò proprio mentre l'interdipendenza delle economie, delle politiche e della quastione ecologica, oltre che della ricerca scientifica, renderebbero sempre più necessaria una coscenza "planetaria" di appartenenza a questa "terra-patria".

... è nel consumo di oggetti, servizi, evasione, mezzi di comunicazione, esperienze, occasioni sociali di acculturazione, che l'uomo del 3° millenio cerca quel "making sense" della vita quotidiana di cui sembra avere bisogno e che di fatto determina le traiettorie del desiderio e del progetto, il livello di soddisfazione del vivere.

Se lo scenaio (questo scenario) avesse qualche credibilità allora il senso di gruppi di riflessione e di intervento sulla sostenibilità non può limitarsi a cercare soluzioni "razionali" che si pensa possano, proprio perchè tali, convincere attraverso l'evidenza a modificare la forma mentis e i comportamenti.

Sebbene questo compito sia necessario o addirittura indispensabile, è in qualche modo "secondario" rispetto ad un altro compito, che è quello di prendere atto di quanto tutto ciò che quelli di buona volontà potranno comprendere sarà difficile "da spiegare alla gente", anche se possiamo immaginare che il vento stia cambiando, che rinasca una voglia di eticità e che le aziende possano costituirsi motore di questa evoluzione etica laddove la politica non sembra in grado di suscitare e governare.


(fonte: PLANOMIA - Sostenibilità e comportamenti di consumo - Giovanni Siri)

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