venerdì 9 maggio 2008

la morte dell’ambientalismo

Getty Image ha condotto una ricerca sui codici di comunicazione utilizzate nelle campagne pubblicitarie a sfondo ambientalista, utilizzando soprattutto campagne per associazioni no-profit, vera avanguardia in questo tipo di comunicazione.

Di seguito troverete la traduzione delle parti principali.

Ciò che significa e appare come “ecologico” è attualmente, per citare Sergio Leone, un mix del buono, del brutto e del cattivo. E prossimamente ne vedremo davvero delle brutte... insetti inclusi. Se ancora non è avvenuto, soffriremo presto, ancor più che del mancato rispetto per l’ambiente, di un’inondazione di messaggi a tema ambientalista.

Essere “ecologici” sarà lo standard per clienti e inserzionisti, e questo ci porterà verso un periodo di opportunità e anche di confusione, nel quale tutto comincerà ad assomigliarsi. E nonostante le affermazioni di alcuni esperti, le immagini di persone che abbracciano gli alberi non sono la via per evitare i vecchi cliché, quelli, per intenderci, capaci di mettere in fuga i consumatori alla velocità del… vento.


Il sito changethis.com, nato da un’idea del guru del marketing Seth Godin, ha pubblicato in America un discusso e stimolante “manifesto liberal” redatto dai due ambientalisti Michael Shellenberger e Ted Nordhaus.


Intitolato “La morte dell’ambientalismo”, il pezzo fa riferimento al sostanziale rifiuto dei temi ambientali da parte dei governi e delle imprese, che si riflette nella scarsa volontà politica anche da parte del pubblico.


L’articolo, soprattutto, evidenzia come il movimento ambientalista sia passato, attraverso un’evoluzione a più fasi, dalle idee di tutela e conservazione a una seconda onda più incentrata sulla regolamentazione ambientale (delle attività economiche) fino a una terza, più recente fase in cui si parla più spesso di investimenti in attività e tecnologie a favore dell’ambiente.
“ Dobbiamo superare i clichè dell’ecologia, sradicare le abitudini mentali consunte e inventare una nuova mitologia visiva su ciò che significa essere ecologicamente efficaci.”

In fatto di linguaggi visivi legati ai temi dell’ambiente, il rischio è quello di uccidere i significati sotto una massa di immagini cliché. La prima cosa, infatti, che scoprirà chi vuole oggi attirare l’attenzione del pubblico (si tratti di clienti, inserzionisti o attivisti) è di far proprio il motto “morte all’ambientalismo”.


Superare, quindi, i cliché dell’ecologia, sradicare le abitudini mentali consunte ed inventare una nuova mitologia visiva su ciò che significa essere ecologicamente efficaci.
Come vedremo, anziché di concetti solo “verdi” dovremo servirci di concetti “forti”.

Comunicazione non inquinata


Perché la comunicazione sull’ambiente possa legarsi ai grandi temi del cambiamento climatico, che riempiono sempre più spesso le pagine dei media, questa nuova mitologia “verde” non si baserà su fantasie agresti o su qualche ostracismo. Nel breve termine, non deve sorprendere se sarà il settore del no profit, quello che è già in prima linea nel linguaggio visivo pubblicitario sul tema ambientale, a creare uno stile più avanzato, al punto di potersi definire quasi un genere a sé stante.


Chi fa comunicazione in questo campo ha dei vantaggi: nei settori del no profit, il messaggio è semplice, non ci sono benefit commerciali da veicolare, ma spesso si tratta più che altro di creare consapevolezza. La semplicità diventa la chiave.

Qualcosa da cui prendere spunto specialmente nell’area dell’ecologia, dove la comunicazione è divenuta prolissa, complessa e involuta. Il no profit brilla invece spesso per brevità, riconosce il valore creativo della sintesi.


Forza visiva, leggerezza del copy





Questi annunci per la Fondazione Nicolas Hulot utilizzano la classica tecnica pubblicitaria di creare paura per alimentare un’esigenza. La loro efficacia si deve allo sviluppo di un unico messaggio, ad alto impatto visivo e con il copy leggermente in sottotono, rappresentato il prototipo della più attuale visualizzazione dei valori ecologici: è oggi meglio risultare un po’ goffi o naif che non sofisticati e superficiali, proprio perché il consumatore è inondato di messaggi di tipo ecologico.

Non verdi ma forti






Ciò che rende questi annunci Oxfam così coinvolgenti non sono tanto i testimonial, peraltro quasi irriconoscibili, ma le immagini forti e impattanti che comunicano l’esperienza tattile della natura.


Come già sottolineato, non sorprende il fatto che il concetto di raccolta differenziata e riciclaggio abbia un tale peso culturale tra i consumatori. Riciclare vuol dire fare esperienza diretta in campo ecologico.
E’ soprattutto è uno sforzo collettivo: le persone si sentono parte di qualcosa di più ampio. Nel mondo della comunicazione ecologica, per essere pertinenti non è necessario ricercare marketing di nicchia.

Ma, anzi, la gente si impegnerà a fare qualcosa se vede che anche altri lo fanno. La campagna Oxfam visualizza persone che si sporcano le mani, la testa, tutto il corpo. Il messaggio razionale è che non vanno proposte merci sottocosto come caffè, cacao, mais nei mercati del terzo mondo distruggendo l’agricoltura locale.
Il messaggio più profondo è “sporcatevi le mani, impegnatevi, non temete la fisicità della natura”. In altre parole, non restate alla finestra.

Prendiamo quindi in considerazione delle campagne che presentano singoli messaggi, che cercano di stimolare la coscienza e la volontà collettiva.

Il punto non è che i consumatori siano indifferenti o egoisti, ma che si impegnano solo se lo fanno anche altri.
Specialmente quando questi “altri” sono un po’ come noi. Non foto “anti-celebrità” ma “anti-foto di celebrità”. Senza un po’ di sporco, di rozzo, di unto, sarebbero classiche foto di testimonial.

Un nuovo ruolo

Di fianco ai marchi e ai prodotti che promettono di risolvere il problema del clima, oppure tentano di sfruttare l’onda del feticcio ecologico con una spruzzatina di bosco e di verde prato nei propri annunci, c’è invece il nuovo ruolo istituzionale della “buona guida”.

Proviamo a studiare gli annunci per il supermercato inglese Waitrose. Fotograficamente forti quanto semplici, mostrano semplicemente il produttore del bene alimentare in questione, nell’ambiente in cui viene prodotto. La parte copy si limita a prodotto, prezzo e nome del fornitore.






Così, l’ecologia si mescola alla provenienza, alla fiducia. Questa è l’area in cui le aziende che abbiano cose vere da dire sui propri prodotti potranno iniziare a costruire legami solidi con i consumatori.

Non ci sono, qui, paesaggi idilliaci da contemplare, ma luoghi in cui coltivare, far crescere, raccogliere frutti: una visione benigna della natura. Immagini tanto immediate fanno leva non solo sui timori di un pubblico più ampio in fatto di fiducia, cioè a chi dare credito sui temi del cambiamento climatico e sulle relative soluzioni al problema, ma anche sulla fiducia nell’azienda.

Nuovi miti

Fotografi, pubblicitari e clienti devono sapere far cessare i vecchi miti della natura. Indubbiamente ci sarà una saturazione, data dall’eccesso di cliché visivi sulla natura, utili o no che siano. Non riusciamo ad evitare il sentimentalismo, a volte, e non c’è nulla di male.
Ma quando questo diventa il linguaggio visivo standardizzato, allora siamo in presenza di un ostacolo alla buona comunicazione. Il contraltare sarà dato dalle immagini che ci arrivano mediante l’informazione. Che i disastri naturali siano causati o meno dall’effetto serra, siamo comunque indotti a ritenerli tali. Le aziende e i pubblicitari più intelligenti capiranno che se non si modifica il linguaggio visivo sui temi dell’ambiente, non vi sarà dialogo con i consumatori.

Ci servono nuove storie popolari, anche se si tratta di favole riciclate, poiché fin dall’infanzia la “natura” è stata inculcata nella nostra immaginazione come mitica.
Ma dobbiamo trovare nuovi miti visivi, capaci di dare il piacere della nostalgia delle icone o delle storie che ci sono familari, ma in contesti moderni, di cui riconoscere la realtà o l’irrealtà.

Confezionare un annuncio in Pantone verde o usare l’immagine di un picnic sul prato o dei cerchi nell’acqua serve solo fino a un certo punto.

L’invenzione di un nuovo linguaggio visivo comporta il saper rivoluzionare i rapporti visivi tra noi e una natura che non conosciamo più davvero, perché è in profondo cambiamento.

In sintesi tre saranno i grandi filoni:


1. L’uomo contro la natura
Inevitabilmente vedremo sempre più immagini di morte e di distruzione nei telegiornali. Che ciò sia dovuto al cambiamento climatico o no, i media ne parleranno in questi termini. Perciò nell’immaginario creativo vedremo sicuramente immagini che alludono alla grande potenza della natura, alla sua capacità di suscitare forze misteriose ed incontrollabili.

2. Speranza + unione
Allo stesso tempo, vediamo farsi strada il desiderio di un’armonia con la natura, un’esigenza più generalizzata, che va oltre gli stili di vita di nicchia. Confortante, aspirazionale, esplorativa. Mentre i vecchi cliché sulla natura vengono spazzati dagli eventi, cercheremo nuovi modi per capire e interagire con un mondo naturale che non ci appare più così familare come un tempo, e questi nuovi modi entreranno a far parte della mistica e della tradizione.

3. Tempo + futuro
In fin dei conti, tutte le emozioni connesse ai temi dell’ambiente riportano a un concetto: il tempo. Espresso, nella nostra esperienza di natura e della terra, come qualcosa di “fuori del tempo” che collega noi, il pianeta, a qualcosa di vagamente “spirituale”, alle generazioni passate e, naturalmente, al futuro. Per questo motivo, vedremo probabilmente più immagini di donne e bambini, che simboleggiano concetti di nutrimento e di futuro.

Continuità e scorrere del tempo, progressione e cambiamento, nostalgia e futuro: questi sono i temi, questo il difficile equilibrio che la comunicazione in tema di ambiente dovrà cercare di ottenere.

1 commento:

entropia casuale ha detto...

Bello ritrovarti e vedere che scrivi cose sensate.
Ciao.
Bisio.