domenica 25 maggio 2008
l'articolazione del movimento
Nel 2007 oltre il 65% delle imprese italiane con più di 100 dipendenti ha realizzato almeno un’iniziativa di carattere sociale, aumentando rispetto al 2004 il valore degli investimenti globali, passati da 845 milioni di euro a 951 milioni di euro.
Tra i settori di intervento privilegiati spicca il sostegno umanitario e la solidarietà (52%), seguito dalla realizzazione di mostre e iniziative culturali (35%), e dall’erogazione di servizi specifici per il personale interno (31%).
Particolarmente significativo, poi, il dato relativo alle modalità di intervento: se nel 2004 ben il 73,1% delle aziende si limitava ad erogare un contributo economico diretto per la realizzazione del progetto, oggi tale percentuale si è notevolmente ridotta (32,6%), a testimonianza di come le imprese comincino ad assumere un ruolo più attivo nell’ideazione e realizzazione dei progetti di CSR su cui decidono di investire.
“Il modo di intendere la responsabilità sociale è molto cambiato negli ultimi dieci anni – ha sottolineato Roberto Orsi, Presidente di Errepi Comunicazione e coordinatore del rapporto – e oggi si avverte la volontà di molte aziende di incrementare ulteriormente le risorse disponibili e a mettere in campo nuove iniziative, sempre più integrate con il resto della gestione d’impresa ”.
In cima all’interesse delle aziende si conferma il territorio all’interno del quale operano, ribadisce l’indagine, patrocinata da AIDP Lazio, Comune di Roma, UnionCamere, CNEL e Ministero della Solidarietà, che rivela, inoltre, come un’azienda su due abbia adottato un proprio codice etico, un’azienda su tre rediga il bilancio sociale e sempre un’azienda su tre preveda una figura professionale interna dedicata alla responsabilità sociale. Da evidenziare, infine, che più del 75% delle aziende auspica un confronto periodico sui temi dell’impegno sociale con le istituzioni.
Sono buone infine le prospettive per il futuro: l’importo medio pro capite degli investimenti nel sociale si è infatti incrementato di oltre il 50% passando dai 110.000 euro del 2001 ai 169.000 euro del 2007 e per l’anno in corso è previsto un altro importante balzo in avanti, fin sopra la soglia dei 200.000 euro.
fonte: errepi comunicazione
giovedì 22 maggio 2008
auto(goal)
L’indagine, realizzata dagli Amici della Terra con il supporto di Friends of the Earth Europe nell’ambito delle Campagne “Cars Fuel Efficiency” e “Big Ask SOS-Clima”, analizza le pratiche di marketing pubblicitario messe in atto dalle case automobilistiche sulla carta stampata e sulla TV con riferimento ai vari aspetti del tema delle emissioni di CO2 dei modelli auto.
Metodologia di indagine
Oggetto di analisi sono le inserzioni pubblicitarie e i relativi modelli di autovetture apparsi su un campione rappresentativo di media a diffusione nazionale (carta stampata e TV) in due periodi scelti casualmente (dal 9 al16 Novembre 2007 e dal 4 al 10 Aprile 2008).
L’indagine considera le principali leve emozionali utilizzate dalla pubblicità per influenzare il consumatore; effettua una verifica del rispetto degli obblighi di informazione sulle emissioni di CO2 dei modelli; confronta le emissioni medie di CO2 dei modelli pubblicizzati dai produttori con gli obiettivi strategici dell’Unione Europea per la riduzione delle emissioni di CO2 delle auto.
Risultati dell’indagine
Nel caso della carta stampata, la leva emozionale più utilizzata è la convenienza economica (il 67% dei messaggi, perlopiù riguardanti le modalità di finanziamento dell’acquisto; mentre meno dell’1% si riferisce alla convenienza economica legata a bassi consumi di carburante), seguita dal piacere di guida/comfort (49%), dalle prestazioni (26%) e dalla sicurezza (23%). La leva ecologica è all’ultimo posto, con appena l’8%.
Nel caso della pubblicità televisiva, si riscontra un maggior ricorso a leve emozionali multiple nello stesso messaggio, con un ribaltamento verso gli aspetti qualitativi dell’uso dell’auto rispetto a quelli economici: infatti, al primo posto c’è la sicurezza (96%), seguita dalle prestazioni (94%), dal piacere di guida/confort (93%), dalla convenienza economica (il 65%, di cui solo il 2% riguardante la convenienza per i bassi consumi di carburante). Anche in questo caso la leva ecologica è all’ultimo posto, con il 27% dei messaggi, di cui solo il 3% riguardanti le emissioni di CO2.
Un altro criterio applicato nell’indagine riguarda il rispetto delle prescrizioni normative di informazione al consumatore, attualmente limitate alla carta stampata, riguardanti l’obbligo di informazione sui consumi di carburante e sulle emissioni di CO2 dei modelli pubblicizzati e la facilità di lettura dell’informativa stessa.
Oltre il 93% dei messaggi riportano l’informativa in maniera illeggibile e in scarsa evidenza rispetto alla comunicazione commerciale, contravvenendo in questo modo alla volontà del legislatore. Solamente nel 6,4% dei messaggi il testo riguardante le emissioni di CO2 risulta di chiara lettura e ha la medesima evidenza rispetto alle informazioni principali dell’inserzione.
L’aspetto forse più innovativo dell’indagine riguarda l’analisi della coerenza del marketing pubblicitario delle case automobilistiche rispetto all’obiettivo comunitario di riduzione delle emissioni di CO2 a 120gCO2/km entro il 2012. A tal proposito si riscontra che solamente l’8% del totale dei modelli pubblicizzati riguarda auto con emissioni di CO2 inferiori a 120 g/km. Inoltre, la media di CO2 g/km dei modelli pubblicizzati risulta addirittura più elevata rispetto alla media delle emissioni del venduto in Italia (+6% rispetto alla media nazionale di 149 gCO2/km).
Fermo restando che nessun produttore spicca per una media particolarmente bassa, la classifica dei produttori (a livello di gruppo) proposta nella figura e relativa alle emissioni medie di CO2 dei modelli pubblicizzati, vede al primo posto Mazda, (135 g/km), seguita da Renault (140 g/km), Kia (142 g), Nissan (143 g) e Daihatsu (143 g). Suzuki, Subaru, Daimler e Jeep si collocano invece nelle ultime posizioni, con emissioni medie dei modelli pubblicizzati superiori ai 200 gCO2/km.
Il report completo lo trovate qui.lunedì 19 maggio 2008
domenica 18 maggio 2008
go green
Di seguito riporto le principali considerazioni, la ricerca completa potete scaricarla qui
L’indagine Tandberg/Ipsos MORI ha rivelato l’importanza di un comportamento responsabile verso l’ambiente per aumentare il “corporate brand equity” e il “competitive advantage”.
Più della metà dei consumatori globali intervistati ha detto che preferirebbe comprare prodotti e servizi da un’azienda con una buona reputazione ambientale e quasi l’80% degli impiegati globali crede che lavorare per una organizzazione etica a livello ambientale sia importante. Questa ricerca rappresenta 1 miliardo di consumatori e più di 700 milioni di impiegati in tutto il mondo. (…)
Nonostante il fatto che abbiano indicato la preferenza a comprare prodotti “green” e a lavorare per le organizzazioni responsabili verso l’ambiente, un sorprendente 32% degli intervistati ha ammesso che non ha ancora attuato azioni personali per ridurre i cambiamenti climatici. Stanno aspettando che quei prodotti e servizi diventino facilmente accessibili, oppure che i governi e i posti di lavoro facciano un passo avanti e stabiliscano la priorità?
Più della metà degli intervistati crede che il governo dovrebbe assumere una posizione nel limitare gli effetti dei cambiamenti climatici, citando come guida chiave nel movimento ambientale per il 47% i governi nazionali e per l’11% le istituzioni internazionali. (…)
Il 12% degli intervistati è convinto che i commerci/aziende avrebbero dovuto assumere la guida per limitare gli effetti dei cambiamenti ambientali. Ad esempio, sviluppare e cercare nuove tecnologie “environmentally-friendly” è stato indicato come un fattore fondamentale al fine di portare ad un aumento di responsabilità aziendale verso l’ambiente.
Programmi di riciclaggio, programmi per la riduzione di acqua/rifiuti e acquisti “environmentally friendly” sono già visti come iniziative efficaci in azienda. Impiegati di alcuni mercati hanno indicato il “competitive positioning” e il timore di pubblicità negativa come preoccupazioni che potrebbero spingere le loro organizzazioni a diventare più “environmentally-friendly”, dimostrando che la percezione esterna della marca può avere un effetto notevole sulla decisione di un’azienda di diventare “go green”.
L’indagine rivela alcune informazioni essenziali per le aziende che stiano cercando di costruire una loro marca in territori ben specifici del mondo e con “target markets” particolari. Nonostante il fatto che ci siano differenze interessanti fra i paesi intervistati e anche qualche differenza fra certi gruppi demografici all’interno dei paesi individuati, questo sondaggio indica che grossi gruppi di clienti, impiegati, soci e investitori nel mondo stanno pensando ripetutamente a questa questione a livelli differenti. (...)
Questa indagine, una delle più grandi del genere, ha rivelato quindi qualche tendenza importante. Forse la più rilevante riguarda l’impatto che le azioni decise dalle aziende verso i cambiamenti climatici hanno sulla percezione delle loro marche aziendali da parte dei clienti e degli impiegati. (…)
Gli impiegati vogliono sentirsi sicuri sapendo che le organizzazioni per cui lavorano abbiano un piano “verde,” e che stiano effettuando le pratiche e i programmi per ridurre i loro consumi energetici. (…)
Le tecnologie che riducono il consumo d’energia, i rifiuti e i viaggi dimostrano grande promessa per le organizzazioni che stiano cercando di aumentare la loro reputazione “verde” e il loro vantaggio competitivo. L’adozione di tecnologie “verdi” è destinato a continuare, visto che sempre più aziende riconoscono la necessità di implementare programmi ambientali misurabili e concentrarsi sui bisogni della mano d’opera più giovane. Globalmente, i giovani sono più favorevoli ad accogliere l’uso della nuova tecnologia per aiutare ad affrontare i cambiamenti climatici. (…)
Con le numerose campagne su come diventare “carbon neutral”, il messaggio inerente i cambiamenti climatici sta sicuramente raggiungendo la popolazione. Tuttavia, a meno che gli individui e le aziende siano pronti ad agire in prima persona e ad essere responsabili per ridurre i loro consumi energetici quotidiani, è difficile immaginare come potremmo procedere insieme, nel breve termine, e fare LA differenza abbastanza grande da essere utile per il pianeta.
Una cosa è certa: dobbiamo tutti, individui e organizzazioni, agire direttamente e affrontare il riscaldamento globale insieme e velocemente.
mercoledì 14 maggio 2008
venerdì 9 maggio 2008
la morte dell’ambientalismo
Di seguito troverete la traduzione delle parti principali.
Ciò che significa e appare come “ecologico” è attualmente, per citare Sergio Leone, un mix del buono, del brutto e del cattivo. E prossimamente ne vedremo davvero delle brutte... insetti inclusi. Se ancora non è avvenuto, soffriremo presto, ancor più che del mancato rispetto per l’ambiente, di un’inondazione di messaggi a tema ambientalista.
Essere “ecologici” sarà lo standard per clienti e inserzionisti, e questo ci porterà verso un periodo di opportunità e anche di confusione, nel quale tutto comincerà ad assomigliarsi. E nonostante le affermazioni di alcuni esperti, le immagini di persone che abbracciano gli alberi non sono la via per evitare i vecchi cliché, quelli, per intenderci, capaci di mettere in fuga i consumatori alla velocità del… vento.
Il sito changethis.com, nato da un’idea del guru del marketing Seth Godin, ha pubblicato in America un discusso e stimolante “manifesto liberal” redatto dai due ambientalisti Michael Shellenberger e Ted Nordhaus.
Intitolato “La morte dell’ambientalismo”, il pezzo fa riferimento al sostanziale rifiuto dei temi ambientali da parte dei governi e delle imprese, che si riflette nella scarsa volontà politica anche da parte del pubblico.
L’articolo, soprattutto, evidenzia come il movimento ambientalista sia passato, attraverso un’evoluzione a più fasi, dalle idee di tutela e conservazione a una seconda onda più incentrata sulla regolamentazione ambientale (delle attività economiche) fino a una terza, più recente fase in cui si parla più spesso di investimenti in attività e tecnologie a favore dell’ambiente. “ Dobbiamo superare i clichè dell’ecologia, sradicare le abitudini mentali consunte e inventare una nuova mitologia visiva su ciò che significa essere ecologicamente efficaci.”
In fatto di linguaggi visivi legati ai temi dell’ambiente, il rischio è quello di uccidere i significati sotto una massa di immagini cliché. La prima cosa, infatti, che scoprirà chi vuole oggi attirare l’attenzione del pubblico (si tratti di clienti, inserzionisti o attivisti) è di far proprio il motto “morte all’ambientalismo”.
Superare, quindi, i cliché dell’ecologia, sradicare le abitudini mentali consunte ed inventare una nuova mitologia visiva su ciò che significa essere ecologicamente efficaci. Come vedremo, anziché di concetti solo “verdi” dovremo servirci di concetti “forti”.
Comunicazione non inquinata
Perché la comunicazione sull’ambiente possa legarsi ai grandi temi del cambiamento climatico, che riempiono sempre più spesso le pagine dei media, questa nuova mitologia “verde” non si baserà su fantasie agresti o su qualche ostracismo. Nel breve termine, non deve sorprendere se sarà il settore del no profit, quello che è già in prima linea nel linguaggio visivo pubblicitario sul tema ambientale, a creare uno stile più avanzato, al punto di potersi definire quasi un genere a sé stante.
Chi fa comunicazione in questo campo ha dei vantaggi: nei settori del no profit, il messaggio è semplice, non ci sono benefit commerciali da veicolare, ma spesso si tratta più che altro di creare consapevolezza. La semplicità diventa la chiave.
Qualcosa da cui prendere spunto specialmente nell’area dell’ecologia, dove la comunicazione è divenuta prolissa, complessa e involuta. Il no profit brilla invece spesso per brevità, riconosce il valore creativo della sintesi.
Forza visiva, leggerezza del copy
Questi annunci per la Fondazione Nicolas Hulot utilizzano la classica tecnica pubblicitaria di creare paura per alimentare un’esigenza. La loro efficacia si deve allo sviluppo di un unico messaggio, ad alto impatto visivo e con il copy leggermente in sottotono, rappresentato il prototipo della più attuale visualizzazione dei valori ecologici: è oggi meglio risultare un po’ goffi o naif che non sofisticati e superficiali, proprio perché il consumatore è inondato di messaggi di tipo ecologico.
Non verdi ma forti
Ciò che rende questi annunci Oxfam così coinvolgenti non sono tanto i testimonial, peraltro quasi irriconoscibili, ma le immagini forti e impattanti che comunicano l’esperienza tattile della natura.
Come già sottolineato, non sorprende il fatto che il concetto di raccolta differenziata e riciclaggio abbia un tale peso culturale tra i consumatori. Riciclare vuol dire fare esperienza diretta in campo ecologico. E’ soprattutto è uno sforzo collettivo: le persone si sentono parte di qualcosa di più ampio. Nel mondo della comunicazione ecologica, per essere pertinenti non è necessario ricercare marketing di nicchia.
Ma, anzi, la gente si impegnerà a fare qualcosa se vede che anche altri lo fanno. La campagna Oxfam visualizza persone che si sporcano le mani, la testa, tutto il corpo. Il messaggio razionale è che non vanno proposte merci sottocosto come caffè, cacao, mais nei mercati del terzo mondo distruggendo l’agricoltura locale. Il messaggio più profondo è “sporcatevi le mani, impegnatevi, non temete la fisicità della natura”. In altre parole, non restate alla finestra.
Prendiamo quindi in considerazione delle campagne che presentano singoli messaggi, che cercano di stimolare la coscienza e la volontà collettiva.
Il punto non è che i consumatori siano indifferenti o egoisti, ma che si impegnano solo se lo fanno anche altri. Specialmente quando questi “altri” sono un po’ come noi. Non foto “anti-celebrità” ma “anti-foto di celebrità”. Senza un po’ di sporco, di rozzo, di unto, sarebbero classiche foto di testimonial.
Un nuovo ruolo
Di fianco ai marchi e ai prodotti che promettono di risolvere il problema del clima, oppure tentano di sfruttare l’onda del feticcio ecologico con una spruzzatina di bosco e di verde prato nei propri annunci, c’è invece il nuovo ruolo istituzionale della “buona guida”.
Proviamo a studiare gli annunci per il supermercato inglese Waitrose. Fotograficamente forti quanto semplici, mostrano semplicemente il produttore del bene alimentare in questione, nell’ambiente in cui viene prodotto. La parte copy si limita a prodotto, prezzo e nome del fornitore.
Così, l’ecologia si mescola alla provenienza, alla fiducia. Questa è l’area in cui le aziende che abbiano cose vere da dire sui propri prodotti potranno iniziare a costruire legami solidi con i consumatori.
Non ci sono, qui, paesaggi idilliaci da contemplare, ma luoghi in cui coltivare, far crescere, raccogliere frutti: una visione benigna della natura. Immagini tanto immediate fanno leva non solo sui timori di un pubblico più ampio in fatto di fiducia, cioè a chi dare credito sui temi del cambiamento climatico e sulle relative soluzioni al problema, ma anche sulla fiducia nell’azienda.
Nuovi miti
Fotografi, pubblicitari e clienti devono sapere far cessare i vecchi miti della natura. Indubbiamente ci sarà una saturazione, data dall’eccesso di cliché visivi sulla natura, utili o no che siano. Non riusciamo ad evitare il sentimentalismo, a volte, e non c’è nulla di male. Ma quando questo diventa il linguaggio visivo standardizzato, allora siamo in presenza di un ostacolo alla buona comunicazione. Il contraltare sarà dato dalle immagini che ci arrivano mediante l’informazione. Che i disastri naturali siano causati o meno dall’effetto serra, siamo comunque indotti a ritenerli tali. Le aziende e i pubblicitari più intelligenti capiranno che se non si modifica il linguaggio visivo sui temi dell’ambiente, non vi sarà dialogo con i consumatori.
Ci servono nuove storie popolari, anche se si tratta di favole riciclate, poiché fin dall’infanzia la “natura” è stata inculcata nella nostra immaginazione come mitica. Ma dobbiamo trovare nuovi miti visivi, capaci di dare il piacere della nostalgia delle icone o delle storie che ci sono familari, ma in contesti moderni, di cui riconoscere la realtà o l’irrealtà.
Confezionare un annuncio in Pantone verde o usare l’immagine di un picnic sul prato o dei cerchi nell’acqua serve solo fino a un certo punto.
L’invenzione di un nuovo linguaggio visivo comporta il saper rivoluzionare i rapporti visivi tra noi e una natura che non conosciamo più davvero, perché è in profondo cambiamento.
In sintesi tre saranno i grandi filoni:
1. L’uomo contro la natura Inevitabilmente vedremo sempre più immagini di morte e di distruzione nei telegiornali. Che ciò sia dovuto al cambiamento climatico o no, i media ne parleranno in questi termini. Perciò nell’immaginario creativo vedremo sicuramente immagini che alludono alla grande potenza della natura, alla sua capacità di suscitare forze misteriose ed incontrollabili.
2. Speranza + unione Allo stesso tempo, vediamo farsi strada il desiderio di un’armonia con la natura, un’esigenza più generalizzata, che va oltre gli stili di vita di nicchia. Confortante, aspirazionale, esplorativa. Mentre i vecchi cliché sulla natura vengono spazzati dagli eventi, cercheremo nuovi modi per capire e interagire con un mondo naturale che non ci appare più così familare come un tempo, e questi nuovi modi entreranno a far parte della mistica e della tradizione.
3. Tempo + futuro In fin dei conti, tutte le emozioni connesse ai temi dell’ambiente riportano a un concetto: il tempo. Espresso, nella nostra esperienza di natura e della terra, come qualcosa di “fuori del tempo” che collega noi, il pianeta, a qualcosa di vagamente “spirituale”, alle generazioni passate e, naturalmente, al futuro. Per questo motivo, vedremo probabilmente più immagini di donne e bambini, che simboleggiano concetti di nutrimento e di futuro.
Continuità e scorrere del tempo, progressione e cambiamento, nostalgia e futuro: questi sono i temi, questo il difficile equilibrio che la comunicazione in tema di ambiente dovrà cercare di ottenere.
mercoledì 7 maggio 2008
lunedì 5 maggio 2008
giovedì 1 maggio 2008
greenwashing2
Si tratta di un indice per valutare il livello di responsabilità sociale dei messaggi pubblicitari basati su 5 semplici criteri.
Il sito lascia ai consumatori la libertà di segnalare, giudicare e commentare le pubblicità valutando il grado di responsabilità delle imprese e segnalando compatibilità, incompatibilità o artificiosità di tali messaggi in relazione alla sostenibilità, responsabilità, eticità dell’azienda e del prodotto/servizio offerto.