giovedì 30 ottobre 2008
ecofoot
Ecco alcuni dei dati più significativi sulle impronte ecologiche di alcuni paesi resi noti dal Living Planet Report 2008:
- Cina, impronta ecologica, ettari globali pro capite 2,1 - biocapacità 0,9 (popolazione 1 miliardo 323 milioni)
- India, impronta ecologica 0,9 - biocapacità 0,4 (popolazione 1 miliardo 103 milioni)
- Australia, impronta ecologica 7,8 - biocapacità 15,4 (popolazione 20 milioni)
- Stati Uniti, impronta ecologica 9,4 - biocapacità 5,0 (popolazione al 2005, 298 milioni, oggi hanno sorpassato i 300 milioni)
- Brasile, impronta ecologica 2,4 - biocapacità 7,3 (popolazione 186 milioni)
- Germania, impronta ecologica 4,2 - biocapacità 1,9 (popolazione quasi 83 milioni)
- Regno Unito, impronta ecologica 5,3 - biocapacità 1,6 (popolazione quasi 60 milioni)
- Etiopia, impronta ecologica 1,4 - biocapacità 1,0 (popolazione 77,4 milioni).
È evidente che se continuiamo imperterriti ad incrementare la nostra impronta ecologica a livello mondiale, non faremo altro che aumentare il nostro debito ecologico, inficiando significativamente le nostre stesse probabilità di sopravvivenza.
Se infatti dovesse persistere il trend in uno scenario BAU (Business as Usual) che ci ha condotto ad un livello di “sorpasso”, rispetto alle capacità bioproduttive dei nostri sistemi naturali, paragonabile al 30% nel 2005, raggiungeremo il 100% nel decennio del 2030.
L’impronta idrica del nostro paese
Per quanto riguarda l’impronta idrica, l’Italia si trova al 4° posto nella classifica mondiale riguardante l’impronta idrica del consumo, che costituisce il volume totale di risorse idriche utilizzate per produrre i beni e i servizi consumati dagli abitanti della nazione stessa (questo indicatore è costituito da due componenti e cioè l’impronta idrica interna, che è composta dalla quantità di acqua necessaria per produrre beni e servizi realizzati e consumati internamente al paese, e dall’impronta idrica esterna, che deriva dal consumo delle merci importate e calcola, quindi, l’acqua utilizzata per le produzioni delle merci dal paese esportatore).
L’Italia è quindi al 4° posto con un consumo di 2.332 metri cubi pro capite annui (dei quali 1.142 interni e 1.190 esterni). Davanti a noi abbiamo, nell’ordine, USA, Grecia e Malesia, dietro di noi, Spagna, Portogallo, Canada ecc.
Emissioni di gas che incrementano l’effetto serra naturale
Nel 2005 le emissioni di gas che incrementano l’effetto serra naturale hanno raggiunto oltre 580 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, tanto da trasformare l’Italia nel terzo paese europeo per emissioni (eravamo il 5° nel 1990 e il 4° nel 2000). Nel 2006 il dato è salito a 567,9 milioni di tonnellate di CO2 equivalente.
Tra il 1990 e il 2005 le emissioni di gas serra in Italia sono cresciute complessivamente di 62,70 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Nel 2006 le emissioni sono ancora cresciute dello 0,3% rispetto ad una riduzione dello 0,8% su scala europea. L’Italia è uno dei pochi paesi europei (insieme ad Austria, Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna) che ha registrato un incremento delle emissioni rispetto ai valori del 1990.
A causa della crescita delle emissioni delle industrie energetiche e dei trasporti, l’Italia non sarà prevedibilmente in condizione di raggiungere l’obiettivo di Kyoto con sole misure domestiche.
Flussi di materia
Grazie ai puntuali lavori della contabilità ambientale dell’ISTAT anche il nostro paese comincia ad avere dati sui flussi di materia prodotti dalla nostra economia. L’applicazione al nostro paese dei metodi di calcolo, standardizzati da EUROSTAT, relativi al Fabbisogno Materiale Totale (Total Material Requirements) ha consentito di avere i primi dati su tutti i flussi di materia, utilizzati e non, che nei periodi contabili presi in considerazione hanno reso possibile direttamente o indirettamente il funzionamento dell’economia italiana.
Nel periodo dal 1980 al 2004 il Fabbisogno Materiale Totale (FMT) è cresciuto del 31,8 %. Tale crescita è dovuta ai flussi relativi alle importazioni. Infatti le estrazioni interne, di materiali utilizzati e non, hanno segnato nel 2004 una diminuzione del 13% rispetto al 1980.
In particolare la crescita del FMT è dovuta soprattutto ai flussi indiretti associati alle importazioni, che sono aumentati del 79,5%, passando dal 38% a circa il 52% del FMT. Ciò indica come le attività economiche del nostro paese, pur non coinvolgendo una crescente quantità di materia, abbiano richiesto il prelievo di sempre maggiori quantità di materia vergine dai sistemi naturali del resto del mondo.
Tenendo conto di altri indicatori utilizzati nei metodi standardizzati EUROSTAT (Economy-wide Material Flows Accounts, vedasi Eurostat, 2001 “Economy-wide material flow accounts and derived indicators. A methodological guide”), come il Consumo Materiale Interno, l’Estrazione Interna Totale e il Consumo Materiale Totale, si può affermare che nel periodo 1980-2004 è cresciuta l’efficienza globale al cui terminale vi sono i bisogni degli italiani (espressa dal rapporto tra il Consumo Materiale Totale e le risorse economiche disponibili per usi interni), è diminuita la quantità di materiale direttamente prelevata dal territorio nazionale (espressa dall’indicatore dell’Estrazione Interna Totale), sono rimaste sostanzialmente stabili le pressioni sul territorio nazionale (espresse dal Consumo Materiale Interno anche se con un incremento a partire dal 1990), ma è cresciuta la domanda di risorse naturali e servizi ambientali a carico dei sistemi naturali globali implicita nei modelli di consumo e investimento degli italiani.
Ciclo dei rifiuti
Dal 1997 al 2004 è stato registrato un incremento di quasi il 60% della produzione totale di rifiuti nel nostro paese. Tale produzione è passata da circa 87,5 milioni di tonnellate del 1997 a poco meno di 140 milioni di tonnellate nel 2004. Il tasso medio di crescita annua è stato di circa il 7%. Anche per i rifiuti urbani, dopo una fase di crescita contenuta, si è assistito ad un’accelerazione della produzione con un incremento percentuale, tra il 2003 ed il 2005, del 5,5% raggiungendo una quantità di circa 31,7 milioni di tonnellate. Nel 2006 i rifiuti urbani hanno raggiunto i 32,5 milioni di tonnellate. Il valore pro capite è di 539 kg abitante l’anno.
La situazione e lo scenario prevedibile sono in contrasto con gli indirizzi strategici e regolamentari dell’Unione Europea che pone come priorità assoluta la prevenzione quantitativa e qualitativa dei rifiuti.
Fragilità territoriale
Attualmente circa il 10% del nostro Paese è classificato a elevato rischio a causa di alluvioni, frane e valanghe, interessando totalmente o in parte il territorio di oltre 6.600 comuni italiani.
Il censimento aggiornato nel gennaio 2006 indica che su circa 30.000 kmq di aree ad alta criticità, il 58% di esse appartiene ad aree in frana, mentre il 42% ad aree esondabili. I risultati evidenziano una situazione di assoluta fragilità del territorio italiano aggravata dal fatto che più dei 2/3 delle aree esposte a rischio interessano centri urbani, infrastrutture e aree produttive strettamente connesse con lo sviluppo economico e sociale del Paese. Le attività di pressione antropica sul nostro territorio così come gli effetti del mutamento climatico, intervengono su ambienti già naturalmente fragili o delicati; diventa quindi per questo sempre più urgente un’azione concreta e puntuale di ripristino ecologico del nostro territorio.
(fonte WWF)
martedì 21 ottobre 2008
l'organizzazione perfetta
Un'organizzazione perfetta che ha attraversato i secoli e che molte cose può dire al mondo manageriale, grazie alla corretta gestione di valori condivisi, a una leadership diffusa e alla capacità di far lavorare insieme persone motivate e consapevoli delle proprie responsabilità.
La Regola di San Benedetto è stata per secoli il faro di questi monasteri e ha saputo irradiare buon senso unito a un'estrema concretezza. Oggi rappresenta un richiamo forte alle radici comuni del vivere organizzato, alle sue regole di appartenenza può contribuire a ridare slancio alla vita aziendale e al governo delle imprese.
(L'organizzazione perfetta - Massimo Folador - Guerini e Associati Editore)
venerdì 17 ottobre 2008
societing
“Societing non è una nuova etichetta per dire marketing. Sarebbe davvero ingenuo pensare che questo possa ritrovare il ruolo davvero cruciale che ha svolto in passato limitandosi ad un cambiamento lessicale.
Societing intende esprimere la nuova identità di cui il marketing deve appropriarsi per riacquisire competitività e funzione strategica che risultano in progressivo declino. Non è soltanto il ricorso alla vasta strumentazione che va sotto il nome di marketing non convenzionale o il saper cogliere le nuove straordinarie opportunità del web 2.0 che restituirà incisività ed efficacia al marketing.
Se contemporaneamente, come sembra, non si afferra il senso e la portata delle profonde trasformazioni che sono intervenute nel sociale, nel consumatore, nei mercati, nello scenario distributivo, nelle tecnologie.
Se non si comprende - non è enfasi retorica - che stiamo entrando in un’epoca nuova dove non si registra soltanto un’improvvisa accelerazione di tanti trend e l’emergere di nuovi protagonismi, ma in cui sovente fenomeni di discontinuità tendono a prevalere."
...
"Lo shift del marketing dalla sua funzione (nobile) di raccordare la produzione alla domanda espressa dai consumatori a quella, invece, di trovare consumatori in grado di assorbire una produzione crescente è il surrettizio ideologico che mina tutto il sistema. Rivedere lo statuto e le prassi del marketing in un’ottica di Societing è una scadenza che non può essere ignorata per poterlo rifondare su basi nuove, coerenti ai nuovi scenari. Per restituirgli efficacia e dignità sociale.
Il marketing è, e resterà, una disciplina aziendalistica e non c’è nessuna ingenua convinzione che l’impresa possa trasformarsi in una Fatina dai Capelli Turchini tutta amore ed oblatività. Soltanto per poter conseguire i suoi obiettivi, almeno sui mercati, deve prendere atto che le regole del gioco sono profondamente mutate.
Non è solo la congiuntura economica che stiamo attraversando, un impoverimento, questo sì di massa, a frenare i consumi. Contribuisce anche la perdita di incisività di una funzione dell’impresa che sarebbe deputata a promuoverli.”
sabato 11 ottobre 2008
ri-pensiamo
Cambiamenti climatici, emergenza ambientale, protocollo di Kyoto e risorse in esaurimento impongono nuovi paradigmi per il mondo degli affari.
Non è più un trend. Nel food è IL trend.
Prodotti, servizi, retail, packaging, marketing. Tutto sembra che stia per diventare green, ma non è così automatico per le aziende cogliere la filosofia verde e c’è il rischio di nausea e possibile rigetto da parte dei consumatori se non si saprà evitare l’effetto greenwashing (dare una mano di verde in superficie).
Nei paesi anglosassoni per memorizzare gli attributi dell’eco-nomia si usa l’acronimo SEGOR: sostenibile, etica, green (verde), organica, responsabile.
Altra strada per non perdere la bussola è di ripensare il marketing e la comunicazione operando e declinando ogni azione con il prefisso ri: riciclare, riusare, ridurre, rinnovare, risparmiare, rispettare, eccetera.
Esempi virtuosi: Autogrill lancia il suo primo Ecogrill con sistema geotermico; Sant’Anna la prima acqua minerale in bottiglia di plastica vegetale biodegradabile al 100%; Tesco, oltre i supermercati a basso impatto, i prodotti con carbon label e la divisione Greener Living; Migros i prodotti “campioni CO2” con Climatop; Apple per iPhone il packaging biodegradabile a base di amido di patate; Visa e Mastercard le carte di credito che compensano la CO2 (Greencard e Earth Reward); Solar Roast Coffe i coffee shop con caffè tostato con energia solare; Wal-Mart l’eco packaging scorecard per i fornitori; Coop Svizzera l’etichetta By Air per i prodotti importati via aerea (obiettivo: privilegiare il trasporto su rotaia e via mare); P&G e Coca-Cola progetti per la misurazione e riduzione delle emissioni di gas serra; l’ECR all’ultimo forum di Berlino il sustainable shopping come nuovo paradigma vincolante; TerraCycle i prodotti fatti con scarti e spazzatura (fra i partner Coca-Cola e Kraft); Tchibo (colosso del caffé) la logistica eco-sostenibile; StoneGate le uova da aziende a energia eolica; Bio On il packaging biodegradabile in acqua; East Green la prima birra “carbon neutral” e DasEis il gelato.
(fonte http://www.nemolab.it/)
lunedì 6 ottobre 2008
domenica 5 ottobre 2008
il fine giustifica i mezzi?
Clamorosa protesta di Greenpeace: nella notte alcuni funamboli-attivisti sono riusciti ad oscurare il gigantesco cartellone all'ingresso del salone dell'auto di Parigi. Sul logo della manifestazione è stato infatti calato un manifesto con un mondo schiacciato dal passaggio di un'auto. Il riferimento, fin troppo chiaro, è alla poca attenzione che il mondo dell'auto dedicherebbe ai temi ambientali. (www.repubblica.it)
sabato 4 ottobre 2008
buoni prodotti per brave persone
Scandali alimentari, provenienze incerte, ingredienti occultati, etichette criptate, certificazioni non certificate, qualità squalificate, promesse dimenticate e, più di ogni altra cosa, troppa avidità.
E' tempo di tornare all’età dell’innocenza e comunicarla. Come fa Innocent Drinks.
Perché torna inarrestabile, nel food più che altrove, la nostalgia per i valori di una volta: il cibo come verità, il cibo come fonte di bene-essere, il cibo come un amico da frequentare.
Cosa chiede il mercato? Moltissima trasparenza, verificabile possibilmente in rete.
C’è domanda di tracciabilità vera. C’è voglia di trasparenza estrema. In Germania già l’85% dei consumatori “pretende” la formula porte aperte per le aziende del food. Sapere da dove vengono effettivamente gli alimenti diventerà sempre più importante. Intanto è boom dei documentari e libri denuncia che smascherano le malefatte dei big player.
L’equazione è banale e per questo difficile: fai bene e dimostrerai di saper fare bene.
Il business del futuro, iniziato ieri, è la capacità di generare profitto economico, sociale e ambientale: chi riesce a garantire tutte e tre le cose (ri)conquisterà il consumatore scettico.
Esempi virtuosi: Migros punta sul vasto programma Engagement per ispirare fiducia e credibilità; Dole Organic sulla trasparenza e tracciabilità online tramite codici su ogni singolo prodotto (sul sito dedicato il consumatore può scoprire il dietro le quinte compreso il trattamento riservato ai lavoratori), lo stesso servizio viene offerto dalla giapponese Ishii Food (fin dal 2001) e dalla tedesca Iglo per gli spinaci surgelati (verifica esatta della provenienza); Ritter Sport e Bahlsen su opere di misericordia e beneficenza caritatevole (charity label: we care); Bionade (claim: bevanda uffi ciale per un mondo migliore) su fairness e sostenibilità (anche locale) a 360°; Katjies (dolciumi) e Wiltmann (salumi) sulla formula open factory che consente ai consumatori di seguire in ogni momento tutte le fasi di produzione (la stessa McDonald’s propone ora in molti paesi la formula porte aperte con visite tutto l’anno dietro prenotazione online); Heritage Foods su autenticità (i cosiddetti True Heritage Turkeys) tracciabilità (certificazione numerata) e trasparenza online (allevamento con web cam 24 ore su 24); Innocent Drinks (io li adoro) su un buonismo sincero ed etico.
(fonte http://www.nemolab.it/)
venerdì 3 ottobre 2008
green economy
Suddiviso in 40 brevi capitoli, il libro racconta semplici aneddoti e complete case history per comprendere le ragioni del successo, del fallimento, dei trend e delle assurdità di aziende poco note e brand internazionali.
Una lettura importante per comprendere meglio, se fosse necessario, quanta distanza ci separa dalle economie più vanzate.
giovedì 2 ottobre 2008
to relearn to walk to learn
Da bambini si impara a camminare, da adulti si dovrebbe camminare di più per non smettere di imparare.